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Art. 80 codice appalti: motivo di esclusione anche il “patteggiamento”

09 Marzo 2020
Avv. Marco Vianello  

 

Introduzione su motivi di esclusione dalle gare d’appalto pubbliche: è sufficiente il decorso del tempo dopo il “patteggiamento”?


È spesso un dilemma dell’imprenditore che si accinga a partecipare a una gara d’appalto pubblica: devo dichiarare o meno un vecchio “patteggiamento”?
Devo fare qualcosa decorsi cinque anni dal passaggio in giudicato della sentenza?
Serve un provvedimento del Tribunale che ha emesso la sentenza? Oppure si deve addirittura richiedere la riabilitazione?

 

Indicazioni utili all’imprenditore-cliente che abbia subito una sentenza di “patteggiamento” e non abbia successivamente più commesso reati.


Nella mia esperienza di Avvocato penalista che assiste le imprese, principalmente presso il Tribunale di Venezia, mi è capitato spesso di essere interpellato quanto l’imprenditore è alle prese con le autodichiarazioni per partecipare a una gara d’appalto pubblica.
La domanda che presupporrebbe da parte dell’interlocutore una risposta banale, tale non è. Ogni volta è necessario esaminare il caso concreto, interrogare approfonditamente l’interlocutore – sebbene spesso si tratti di un collaboratore dell’imprenditore attinto dal provvedimento giudiziario – e la risposta spesso implica che tutti …… trattengono il fiato.
L’art. 80 TU appalti pubblici (D. Lgs. 18 aprile 2016, n. 50) statuisce che “costituisce motivo di esclusione di un operatore economico dalla partecipazione a una procedura d'appalto o concessione, la condanna con sentenza definitiva o decreto penale di condanna divenuto irrevocabile o sentenza di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, anche riferita a un suo subappaltatore nei casi di cui all'articolo 105, comma 6, per uno dei seguenti reati ……” cui segue un’elencazione in un catalogo predefinito qualitativamente e quantitativamente.
Come noto, tuttavia, l’art. 445 cpp prevede che, decorso un lasso temporale (cinque anni per i delitti e due per le contravvenzioni) senza commissione di un ulteriore reato il reato di cui alla sentenza di “patteggiamento” si estingue.
In realtà si dovrebbe dire che, decorso quel lasso temporale senza ulteriori condanne, il reato può essere dichiarato estinto. Perché?
Le decisioni della Cassazione si sono ormai consolidate nel ritenere che “pur operando la estinzione ope legis, in presenza dei presupposti di legge, spetta al giudice dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 676 cod. proc. pen., accertare e dichiarare l'estinzione del reato successivamente alla sentenza di patteggiamento, qualora sussistano i presupposti previsti dall'art. 445 cod. proc. pen., azionando, a tal fine, tutti gli accertamenti necessari nell'ambito dei poteri previsti dall'art. 666 comma quinto cod. proc. pen. Una pronuncia giudiziale di accertamento delle estinzioni è, infatti, necessaria, per la certezza dei rapporti giuridici e per i vantaggi che derivano al condannato dalla declaratoria di estinzione del reato ai sensi dell'art. 167 cod. pen., anche ai fini della estinzione di tutti gli effetti della condanna” (cfr. Cass., sez. V penale, 4.4.2019, n. 32027).
A dire il vero la Cassazione penale è di opinione diversa laddove si parla di precedenti condanne per fatti non più previsti dalla legge come reato (seppure in tema di concessione della sospensione condizionale della pena), come ribadito recentemente: “al fine di valutare la sussistenza di precedenti penali rilevanti ai fini dell’applicazione della sospensione condizionale della pena ex art. 165, comma 2, cod. pen., il giudice di merito, sulla base di quanto emerge dagli atti, deve valutare incidentalmente l’intervenuta abolitio criminis di fatti per i quali è intervenuta condanna irrevocabile, ancorché per detti fatti non sia stato avanzato incidente di esecuzione ex art. 673 cod. proc. pen.” (cfr. Cass., sez. III pen., 15.01 – 04.3.2020, n. 8803).
In realtà recentemente sul punto è intervenuto anche il Consiglio di Stato che, in sostanza confermando quanto già i Giudici amministrativi avevano affermato negli anni (cfr. T.A.R. Palermo, sez. III, 28.12.2015 , n. 3343), ha evidenziato, proprio in tema di partecipazioni a gare d’appalto pubbliche, che “ai fini della partecipazione alle gare pubbliche i candidati non possono effettuare alcun filtro in ordine all'importanza o incidenza della condanna subita sulla moralità professionale, avendo l'obbligo di menzionare tutte le sentenze penali di condanna (e i provvedimenti equiparati). Sono fatti salvi gli effetti dei provvedimenti formali, annotati nel Casellario giudiziale, di estinzione del reato, depenalizzazione, revoca della condanna e riabilitazione, esclusivamente in relazione ai quali i concorrenti non devono rendere alcuna dichiarazione (Cons. Stato, Sez. V, 30/11/2015, n. 5403)” (cfr. C. di Stato, sede giurisdizionale, sez. III, 6-13 febbraio 2020, n. 1174 provv. Coll.)

 

Conclusioni sull’art. 80 codice appalti.


Per la pena “patteggiata” non è ammessa la riabilitazione avanti il Tribunale di Sorveglianza, perché la legge prevede espressamente che il reato si estingua (rectius: possa essere dichiarato estinto) dopo un lasso temporale predefinito a determinate condizioni, senza valutazione “estese” da parte del Tribunale di Sorveglianza.
Seppure alcuni Uffici ritengano che non sia neppure necessario scomodare il Giudice dell’esecuzione (riferite prassi del Tribunale romano), in realtà la giurisprudenza penale e amministrativa è pressoché concorde nel ritenere che vadano dichiarati i provvedimenti giurisdizionali penali in sede di partecipazione a gare d’appalto pubbliche, eccetto il caso di provvedimenti che abbiano formalmente dichiarato l’estinzione con annotazione nel casellario giudiziale. Secondo il Consiglio di Stato – diversamente dalla Cassazione penale – anche se trattasi di revoca perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato (abolitio criminis).
Il Tribunale di Venezia introita piuttosto velocemente i ricorsi e spesso, quando espressamente rinunciata, anche senza fissare udienza, provvedendo de plano.
Serve l’Avvocato? Direi proprio di sì.
di Marco Vianello
Avvocato a Mestre - Venezia e Treviso
marcovianello@ticosoci.it