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Sdemanializzazione tacita, usucapione e trasferimento tra privati di beni pubblici.

25 Aprile 2020
Avv. Prof. Gianluca Sicchiero  

Il principio affermato dalla Corte di Cassazione: la sdemanializzazione tacita.

 Le sezioni unite della Cassazione, con la sentenza 7 aprile 2020, n. 7739, che ha ribadito un analogo assunto oggetto della sentenza 19 febbraio 2019, n. 4839, hanno confermato un principio solido nel tempo ma che non è oggetto di molte pronunce, ovvero che il nostro ordinamento contempla il meccanismo della c.d. sdemanializzazione tacita.

Quando in punto di fatto un bene del demanio perde la sua funzione, passando quindi al patrimonio dell’ente pubblico, salve espresse eccezioni che vietano questa fattispecie, indicate dalla Corte nei beni del demanio idrico (art. 35 c.n.) e del demanio marittimo (art. 947 c.c.).

La sdemanializzazione dovrebbe essere oggetto di provvedimento amministrativo, ma siccome questo può avere anche carattere solo dichiarativo, accertando il fatto, ne consegue che la perdita della demanialità deriva, oltre che da decisioni dell’ente (abbandono di una strada per sostituzione di altra; chiusura definitiva di una caserma ecc.), perché ciò è semplicemente accaduto nel tempo.

La decisione è esente da critiche ma consente un ulteriore sviluppo.

Infatti solo i beni del demanio e del patrimonio indisponibile non possono essere sottratti alla loro destinazione, al contrario di quelli del patrimonio disponibile.

Quindi, a seconda di come si configurano gli eventi, è possibile che diventino oggetto di usucapione dei privati.

 Le parole della sentenza 7 aprile 2020, n. 7739: la continuità con il codice del 1865.

 Anzitutto la decisione del 2020 conferma che il principio affermato si pone in continuità con le regole del codice civile del 1865: non si tratta di un semplice relitto storico, perché in molte regioni è ancora attuale il procedimento di liquidazione degli usi civici ed è frequentissimo, ad es. in veneto, che vi siano immobili di privati costruiti su beni assoggettati ad usi civici. Chi scrive, inoltre, ha seguito una vicenda a Venezia relativa ad un’area donata a fine ‘800 al Comune perché vi erigesse un mercato ittico (i mercati rientrano nel demanio), che in effetti venne realizzato per poi essere spostato in altro luogo, con successiva recinzione dell’area, utilizzata poi nel tempo solo da privati.

Questo il passo saliente della sentenza:

deve essere chiarito che l’art. 829 c.c. del 1942, si pone in continuità con l'antecedente rappresentato dall’art. 429 c.c. del 1865; e, questo, nel senso che il primo prevede che il passaggio di un bene dal demanio pubblico al patrimonio disponibile dello Stato può essere semplicemente dichiarato dall'autorità amministrativa, con ciò riconoscendo espressamente al provvedimento di declassificazione natura esclusivamente dichiarativa, cioè soltanto ricognitiva della perdita della destinazione ad uso pubblico del bene (Cass. sez. I n. 12555 del 2013; Cass. sez. II n. 10817); ricavandosi, da questo, la pacifica conclusione che il passaggio del bene pubblico al patrimonio disponibile dello Stato consegue direttamente al realizzarsi del fatto della perdita della destinazione pubblica del bene, cosiddetta sdemanializzazione tacita, locuzione che evidenzia come la declassificazione prescinde dal provvedimento dell'autorità amministrativa, diversamente da quanto invece previsto dall’atr. 35 c.n., per il demanio marittimo e dall’at. 947 c.c., comma 3, per il demanio idrico (Cass. sez. II, 11/05/2009, n. 10817 del 2009; Cass. sez. II n. 14666 del 2008); cosicchè, cioè prendendo atto di questo, la Corte ha già in passato avuto occasione di chiarire che la regola contenuta nell’at. 829 c.c. del 1942 è rimasta quella stessa dell’art. 429 del 1865, poichè anche oggi, come ieri, trattasi unicamente di stabilire, con un tipico accertamento di fatto, se il bene abbia mantenuto o perduto la sua destinazione ad uso pubblico (Cass. sez. II n. 21018 del 2016; Cass. sez. I n. 5817 del 1981)”.

Il problema delle valli da pesca in Veneto.

 Un tema molto vicino a questo e che ha coinvolto i notai che avevano rogitato gli atti di vendita, ha riguardato le c.d. Valli da pesca, ovvero aree della laguna di Venezia utilizzate per l’allevamento del pesce che sono chiuse da argini artificiali, ma che sono in contatto con le acque pubbliche, che entrano ed escono dalle apposite porte d’ingresso.

Queste aree sono state oggetto di vendita tra privati per secoli, addirittura fin dal XV secolo; una di queste era stata venduta dal tribunale di Venezia nel 1866.

Senonchè un certo giorno l’agenzia del demanio ne ha chiesto la restituzione, assumendone la natura demaniale e di lì è seguita una serie di cause da parte dei titolari di queste valli che hanno avuto tutte il medesimo esito: si tratta di aree appartenenti al demanio pubblico, come ha detto la Corte di cassazione a sezioni unite (14 febbraio 2011, n. 3665) con principio ribadito ad es. anche con la sentenza 28 gennaio 2016, n. 1619, che ci interessa perché dice (riferendosi alle palificazioni messe dai privati per creare gli argini della laguna) che “la natura demaniale di un bene non può cessare per effetto di mere attività materiali eseguite da soggetti privati”.

L’esito non è stato però confinato nella restituzione delle Valli allo Stato, salvo l’utilizzo ma solo mediante concessione.

Da un lato si sono avviati perfino dei procedimenti contro i notai che avevano rogitato le vendite, per l’ovvia nullità dell’atto.

Dall’altro, però, i titolari in buona fede delle valli si sono rivolti alla Corte dei diritti umani, lamentando l’esproprio subito, ricevendo una soddisfazione.

Infatti con la lunghissima sentenza 23 settembre 2014 (Ricorsi n. 46154/11) la CEDU ha detto:

 “la Corte considera che lo Stato non abbia mantenuto un giusto equilibrio tra gli interessi pubblici e privati in gioco e che la ricorrente abbia dovuto sopportare un carico eccessivo e sproporzionato. Pertanto vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1”.

Tuttavia stante la complessità del caso e la pluralità degli interessi in gioco, ha liquidato una modesta somma a titolo provvisorio indicando che “invita il Governo e la ricorrente a metterla a conoscenza, entro sei mesi, di qualsiasi accordo cui potranno giungere”, dato che si è suggerita la vai della definizione del problema (ancora pendente al momento della decisione della Cassazione n. 1619/2016).

La distinzione tra le categorie dei beni pubblici: i beni demaniali.

E’ però importante ricordare i passi della sentenza a sezioni unite n. 3665/2011, perché si deve capire quale sia la sorte dei beni laddove sia ammessa la sdemanializzazione tacita.

Anzitutto la decisione ribadisce la tassatività dell’elenco, il che impedisce di ritenere demaniale qualsivoglia bene per la sola ragione del suo uso pubblico:

I beni demaniali, elencati nell’art. 822 c.c. secondo un criterio di tassatività, hanno come caratteristica comune il fatto di essere beni immobili o universalità di mobili e di appartenere necessariamente ad enti territoriali, ossia lo Stato, le regioni, le province e i comuni (art. 824 c.c.). Questi beni sono tali o per loro intrinseca qualità (c.d. demanio necessario, ossia il demanio marittimo, idrico e militare, art. 822, comma 1) o per il fatto di appartenere ad enti territoriali (cd. demanio accidentale od eventuale: strade, autostrade, aerodromi, immobili di interesse storico ed artistico, raccolte dei musei etc., art. 822 c.c., comma 1)”.

In secondo luogo resta fuori discussione l’impossibilità di farne oggetto di contratto tra privati ma pure di usucapione:
Il regime giuridico di tali beni, contenuto nell’art. 823 c.c. prevede che essi sono "inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano", il che vuol dire che essi non possono costituire oggetto di negozi giuridici di diritto privato, nè possono essere usucapiti, in quanto sono del tutto non commerciabili”.

E’ opportuno ricordare che la natura demaniale può derivare anche dalla “sua intrinseca rilevanza archeologica“: Cass., 15 ottobre 2018, n. 25690.

Interessante notare poi che un bene può diventare demaniale “per usucapione dell’ente pubblico”, configuratasi nel caso del “bene privato del quale per oltre un ventennio, nella erronea convinzione che fosse demaniale, abbia disposto la concessione in uso a terzi”: Cass., 6 maggio 2014, n. 9682. 

In particolare, l’arenile come parte del demanio marittimo.

Ricordando che l’istituto della sdemanializzazione tacita non opera per i beni del demanio marittimo (art. 35 c.n.), tra i quali è inclusa la spiaggia (comprensiva dell'arenile), di è detto quindi che un albergo costruito su area di tale demanio non può essere oggetto di compravendita.

Ciò perchè l'accertamento della sopravvenuta mancanza di attitudine di determinate zone a servire agli usi pubblici del mare, è riservato a speciali organi amministrativi che vi debbono provvedere sulla base di una valutazione tecnico-discrezionale dei caratteri naturali di essi, variabili e contingenti, secondo le diverse caratteristiche geofisiche e le varie esigenze locali, in relazione alla diversità degli usi. Perciò, solo ove gli organi amministrativi competenti esprimano la volontà - in seno ad appositi provvedimenti da essi adottati - di considerare cessata l'idoneità dei beni, di cui si dice, agli usi specifici della demanialità marittima si determina il trasferimento dell'area, con efficacia costitutiva, dal demanio al patrimonio”: Cass., 19 febbraio 2019, n. 4839.

Questa sentenza ha anzi precisato che per arenile si intende:

quel tratto di terraferma che risulti relitto dal naturale ritirarsi delle acque” che “permane anche qualora una parte di esso sia stata utilizzata per realizzare una strada pubblica, non implicando tale evento la sua sdemanializzazione, così come la sua attitudine a realizzare i pubblici usi del mare non può venir meno per il semplice fatto che un privato abbia iniziato ad esercitare su di esso un potere di fatto, realizzandovi abusivamente opere e manufatti (Cass., Sez. 2, 11/5/2009, n. 10817) e che, in difetto di espresso e formale provvedimento di sdemanializzazione adottato dell'autorità amministrativa, l'arenile non perde la propria qualità di bene demaniale, con la conseguenza che il possesso del medesimo da parte del privato è improduttivo di effetti nei confronti della pubblica amministrazione (art. 1145 c.c., comma 1) e, in particolare, è inidoneo all'acquisto della proprietà per usucapione (Cass., Sez. 1, 6/5/1980, n. 2995)”.

I beni del patrimonio indisponibile.

 Una considerazione in parte simile, ma per altri versi diversa da quella dei beni demaniali, spetta ai beni del patrimonio indisponibile, salvo che per questi non esiste un elenco tassativo.

Di nuovo con le parole della sentenza a sezioni unite n. 3665/2011:

i beni patrimoniali indisponibili, invece, possono essere sia mobili che immobili e possono appartenere anche ad enti pubblici non territoriali a titolo esemplificativo, si pensi ai beni appartenenti agli enti di previdenza). Essi hanno, nella sistematica del codice, carattere residuale. L’art. 826 c.c., comma 1, infatti, esordisce, in negativo, osservando che i beni "appartenenti allo Stato, alle province e ai comuni, i quali non siano della specie di quelli indicati dagli articoli precedenti, costituiscono il patrimonio dello Stato o, rispettivamente, delle province e dei comuni". Anche per questi beni si profila una distinzione tra patrimonio necessario e patrimonio accidentale, riconducibile in parte all’art. 826 c.c., commi 2 e 3 poichè vi sono beni patrimoniali per natura (miniere, acque minerali termali, cave e torbiere etc.) e beni patrimoniali per destinazione (edifici destinati a sede di uffici pubblici, arredi, dotazione del Presidente della Repubblica etc); l'elencazione dell’art. 826 c.c. inoltre, non è considerata tassativa. Riguardo al regime giuridico, l’art. 828 c.c., comma 2, si limita a stabilire che tali beni "non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti delle leggi che li riguardano". I beni patrimoniali indisponibili, perciò, sono commerciabili, ma sono gravati da uno specifico vincolo di destinazione all'uso pubblico, pur potendo formare oggetto di negozi traslativi di diritto privato”.

Di conseguenza si è dichiarata la non usucapibilità degli “alloggi costruiti con il contributo dello Stato in conseguenza di terremoti per far fronte alle esigenze delle popolazioni colpite dagli eventi sismici” siccome rientranti nel predetto patrimonio indisponibile (Cass., 27 febbraio 2012, n. 2962).

Per l’appartenenza di un bene al patrimonio indisponibile,

deve sussistere un doppio requisito: la manifestazione di volontà dell'ente titolare del diritto reale pubblico, e perciò un atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell'ente di destinare quel determinato bene ad un pubblico servizio, e l'effettiva ed attuale destinazione del bene al pubblico servizio”: Cass., 13 marzo 2007, n. 5867. 

I beni collettivi ad uso pubblico.

Nella sentenza a sezioni unite n. 3665/2011 c’è anche un passaggio fondamentale sulla nuova categoria dei beni collettivi ad uso pubblico, che peraltro risale ad una categoria del diritto romano, quella dei beni che appartenevano necessariamente a tutti e non potevano nemmeno essere considerati pubblici in senso stretto: “nullius in bonis, sed universitatis”.

Dice la sentenza:

dagli artt. 2, 9 e 42 Cost., e stante la loro diretta applicabilità, si ricava il principio della tutela della umana personalità e del suo corretto svolgimento nell'ambito dello Stato sociale, anche nell'ambito del "paesaggio", con specifico riferimento non solo ai beni costituenti, per classificazione legislativa - codicistica, il demanio e il patrimonio oggetto della "proprietà" dello Stato ma anche riguardo a quei beni che, indipendentemente da una preventiva individuazione da parte del legislatore, per loro intrinseca natura o finalizzazione risultino, sulla base di una compiuta interpretazione dell'intero sistema normativo, funzionali al perseguimento e al soddisfacimento degli interessi della collettività (…) Da tale quadro normativo - costituzionale, e fermo restando il dato "essenziale" della centralità della persona (e dei relativi interessi), da rendere effettiva, oltre che con il riconoscimento di diritti inviolabili, anche mediante "adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale", emerge l'esigenza interpretativa di "guardare" al tema dei beni pubblici oltre una visione prettamente patrimoniale - proprietaria per approdare ad una prospettiva personale – collettivistica”.

Senonché per questi la conseguenza non è la sicura inalienabilità, in quanto si dice che:

la regola della non commerciabilità di detti beni, originariamente prevista dal legislatore in modo assoluto, incontra sempre più eccezioni, con la conseguenza, lungi però dal diventare "sistematica" nella normativa civilistica ed anzi configurando una diversità di enunciati tra codice civile e leggi ordinarie, che in alcune ipotesi la proprietà "pubblica" del bene e la destinazione dello stesso ad usi e finalità pubbliche (della collettività) diventano aspetti scindibili” (nella sentenza c’è un lunghissimo elenco di norme che elencano la casistica). 

I beni del patrimonio disponibile. 

I beni del patrimonio disponibile, infine, pur dovendo essere utilizzati per finalità pubbliche, non sono estranei alle normali vicende del diritto privato, come conclude sul tema la sentenza a sezioni unite n. 3665/2011:

Residuano, infine, i beni patrimoniali disponibili, ai quali non si applica nè il regime dei beni demaniali, nè quello dei beni patrimoniali indisponibili, ma quello ordinario del codice civile (art. 828 c.c., comma 1); essi, proprio in quanto beni di diritto privato, sono commerciabili, alienabili, usucapibili e soggetti ad esecuzione forzata. Si tratta, in altre parole, di beni che possono appartenere allo Stato e agli enti pubblici allo stesso modo in cui possono appartenere a soggetti privati, ossia di beni per i quali non ha senso parlare di vincolo di destinazione”.

Di conseguenza i beni del patrimonio disponibile, ad es. un appartamento, sono suscettibili di usucapione: Cass., 10 marzo 2006, n. 5158.

 Si può quindi trasferire un bene che apparteneva al demanio?

Da quanto fin qui ricostruito emerge che: un bene demaniale, non passibile di attività privatistica, può essere sdemanializzato anche tacitamente, se non rientra nelle due categorie in cui ciò è escluso (art. 35 c.n. e 947 c.c.) e purché non si possa ricondurre alla nuova categoria dei beni collettivi.

A seguito di sdemanializzazione tacita, si tratterà di vedere quale sia l’uso che in concreto venga fatto dei beni stessi.

Una caserma che venga adibita a sede di un ufficio giudiziario, ad es., assumerà natura di bene pubblico indisponibile e quindi rimarrà vincolato.

Il semplice non uso di un bene non significa sdemanializzazione, perché occorre accertare che sussista la volontà di dismissione dell’ente; ad es. una strada non utilizzata perché sostituita da altra, non significa che la prima non interessi più l’ente proprietario, salvo il totale abbandono del sedime che venga ricoperto dalla vegetazione.

Qui ci si potrà avvalere dell’istituto del c.d. “immemorabile”, che secondo Cass., 13 giugno 1983, n. 4051,

costituisce una presunzione di legittimità del possesso attuale, fondata sulla vetustas, e cioè sul decorso di un tempo talmente lungo che si sia perduta memoria dell'inizio di una determinata situazione di fatto, senza che ci sia memoria del contrario, di modo che la presunzione di corrispondenza dello stato di diritto allo stato di fatto implica che rispetto a quest'ultimo si presuma esistente il titolo legittimo e che, conseguentemente, possa ritenersi la legittimità dell'esercizio di diritti il cui acquisto non sarebbe attualmente possibile da parte di coloro che li esercitano; perché possa ritenersi realizzata la prova di siffatta situazione, essa deve provenire da soggetti appartenenti ad almeno due generazioni, vale a dire non solo dagli ultracinquantenni della generazione attuale ma anche, secondo il loro ricordo, dai rispettivi genitori”.

Laddove emerga una sorta di animus deriliquendi dell’amministrazione, anche in forza del c.d. immemorabile, il bene potrà essere oggetto di possesso ad usucapionem; chi poi si fidi, potrà farne oggetto di vendita senza garanzia (“a rischio e pericolo”, art. 1488 c.c.), ammesso che si riescano a fornire tutti gli elementi necessari laddove si sia in presenza non di un semplice fondo, ma di un immobile urbano.